lunedì 21 aprile 2014

ESERCIZIO DI CONTROLLO DELLA RESPIRAZIONE PER ANSIA E STRESS

Avete notato che respirate molto rapidamente? Lo stress e l’ansia 
possono influire sul ritmo del battito cardiaco e sul processo 
respiratorio. Un ritmo respiratorio rilassato generalmente consiste in 
10 o 12 respiri al minuto.

1. Contate il numero dei respiri. Inspirare ed espirare conta 
come un respiro.

2. Inspirate, trattenete il respiro e contate fino a cinque. 
Poi inspirate e dite a voi stessi la parola ‘Rilassati’ in un 
tono calmo e confortante.

3. Cominciate ad inspirare attraverso il naso ed espirate lentamente 
attraverso la bocca, in un ciclo di sei secondi. Inspirate per tre 
secondi ed espirate per tre secondi. Questo produrrà un ritmo 
respiratorio di 10 respiri al minuto. All’inizio potrebbe essere utile 
misurare i tempi della respirazione usando la lancetta dei secondi 
di un orologio da polso o di una sveglia. 

4. Contate a mente.

5. Continuate a respirare in un ciclo di sei secondi per almeno 
cinque minuti o fino a quando la respirazione non riprende 
il suo ritmo normale.

Dopo aver praticato questo esercizio, misurate il numero dei 
respiri che fate in un minuto. Praticate l’esercizio di controllo della 
respirazione ogni giorno prima di colazione, pranzo, cena e prima 
di andare a letto. Usate questa tecnica tutte le volte che vi sentite 
ansiosi. Gradualmente, imparerete a fare l’esercizio con competenza 
sufficiente da non aver più bisogno di misurare i tempi.

Praticate questo esercizio tre o quattro volte al giorno, 
in modo da poterlo fare con la massima facilità ed utilizzarlo 
come una strategia a breve tempo quando vi sentite ansiosi. 

fonte https://www.bspg.com.au/dam/bsg/product?client=BEYONDBLUE&prodid=BL%2F0529&type=file

CHE COS'E' LA DISFORIA


Si intende un sentimento spiacevole, definito spesso come malumore, ma connotato per lo più come depressione, tensione, ansia, scontentezza e pessimismo; inoltre, al quadro affettivo si associa anche la tendenza a reagire esageratamente a stimoli esterni e interni, con scarsa capacità di autocontrollo, che può tradursi in aggressività, collera e ira. In quest’ottica, il termine viene quindi utilizzato per identificare uno stato affettivo con costante componente iperattiva motoria e possibile collocazione del disturbo in un quadro di stato affettivo misto, considerando l’aspetto disforico come un momento di transizione tra lo stato maniacale e quello depressivo. Vengono definiti temperamenti irritabili o disforici quei soggetti particolarmente suscettibili, iperattivi, spesso ansiosi e agitati ( ) in cui vi è un’elevata sofferenza soggettiva, associata a una difficoltà nei rapporti interpersonali. Il termine viene attualmente utilizzato soprattutto per il disturbo disforico premestruale ( ), sindrome che comprende sintomi dell’umore e comportamentali associati a sintomi fisici. Questo quadro sintomatologico si manifesta all’inizio del ciclo mestruale. Un sottotipo di depressione è la cosiddetta , caratterizzata da uno stato di torpore e assopimento, spesso associato ad abuso di farmaci o alcolici, e aumento dell’appetito. In questi pazienti, spesso, molto rapido è il viraggio verso un innalzamento del tono dell’umore, ma basta anche una piccola contrarietà per precipitarli nuovamente nella depressione più profonda. Un quadro particolare di disforia è quella , definita come comparsa di ansia, tensione, irritabilità e inquietudine dopo un rapporto sessuale normalmente soddisfacente.

L'INSEGNANTE DEVE CONOSCERE E DOMINARE I SUOI CONFLITTI


LA PSICOTERAPIA CONTRO L'INSONNIA


Succede di notte: a riposo, e in assenza di luce naturale, si modificano tutti i parametri vitali e le cellule del corpo si rigenerano. Intanto il cervello memorizza e «dimentica in maniera intelligente», come sintetizzano diversi studi recenti, in particolare quello della University of Wisconsin School of Medicine. In pratica, fa piazza pulita delle informazioni superflue per ricominciare il giorno dopo, fresco e “resettato” correttamente. Accade fisiologicamente, in modo spontaneo. Ma non in tutti. Non nelle file di quell’esercito di persone (12 milioni solo nel nostro Paese secondo l’Associazione Italiana Medicina del Sonno) che nel mondo soffrono di forme di insonnia. Per loro, addormentarsi o mantenere un sonno continuo e ristoratore tutte le notti è una conquista, raggiunta spesso con l’ausilio di ipnotici (farmaci che agiscono selettivamente sui recettori del sonno) o di benzodiazepine (attive su diversi neurotrasmettitori coinvolti nell’ansia e nell’insonnia). 
il fattore psiche gioca un ruolo fondamentale nei disturbi del sonno. «È noto che comuni disagi psicologici contingenti, come lo stress, possono momentaneamente peggiorare la qualità del sonno. Le preoccupazioni per la perdita del suo controllo, insieme alla paura delle conseguenze del non dormire bene, alimentano invece un circolo vizioso che contribuisce a cronicizzare l’insonnia», spiega Alessandra Devoto, psicologa accreditata dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno e docente a contratto dell’Università Sapienza di Roma. Senza dimenticare che esiste una correlazione tra l’insonnia e i disturbi affettivi (come la depressione maggiore e i disturbi bipolari) e quelli d’ansia. «Spesso si tratta di problemi concomitanti, che non hanno un chiaro rapporto causa-effetto. Ma, come evidenziato da alcuni studi, chi soffre di disturbi del sonno ha una probabilità 4 volte maggiore di sviluppare la depressione e il doppio di avere problemi d’ansia. Per questo, l’insonnia cronica può essere considerata anche un fattore di rischio per lo sviluppo di potenziali problemi psicologici», osserva Devoto. Non a caso, le benzodiazepine sono prescritte sia per curare l’insonnia sia i disturbi d’ansia. «Negli ultimi tempi, anche un farmaco utilizzato per la depressione stagionale, l’agomelatina, si è rivelato utile per certe forme d’insonnia, in particolare quelle caratterizzateda risvegli precoci, verso le 3, 4 del mattino», osserva Nobili. 

L’agomelatina è una molecola che agisce legandosi ai recettori cerebrali della melatonina, l’ormone secreto dall’organismo a partire dalle 10 di sera, in assenza di luce, e che regola i ritmi sonno veglia. In pratica, ne rinforza l’azione. Ma anche come molecola attiva, la melatonina sta conquistando un’attenzione sempre maggiore, sia perché in alcuni soggetti migliora la qualità del sonno, sia perché, più in generale, lo regola. E non è più solo un rimedio proposto per contrastare la sindrome da jet-lag, ma anche per chi non riesce a mantenere ritmi sonno-veglia regolari (giovani che fanno abitualmente le ore piccole; lavoro notturno; età avanzata). La novità: presto la melatonina non sarà più disponibile come prodotto da banco per dosaggi superiori a 1 mg, ma solo come farmaco, previa presentazione di ricetta. E non è una cattiva notizia: «Può così contare su una maggiore sicurezza ed efficacia, perché sottoposta a un iter di sperimentazione rigoroso, come quello previsto, appunto, per l’approvazione di un farmaco», osserva Nobili. Nonostante il paniere di molecole a disposizione, già relativamente “ricco”, è errato credere che i medicinali siano la soluzione a tutti i mali d’insonnia. «Mentre i farmaci sono generalmente indicati per quelle di breve durata (qualche settimana), il trattamento psicologico è d’elezione per le insonnie croniche, che durano almeno da qualche mese. Tuttavia, i due approcci non sono necessariamente alternativi, ma possono integrarsi e lavorare in sinergia secondo le necessità», spiega Devoto. 

Ma come funziona, in sostanza, la terapia psicologica per l’insonnia? Si parte dalla fase di valutazione, con colloqui, test psicologici specifici e monitoraggio del sonno con strumenti di valutazione, come l’actigrafo (un semplice orologio da indossare al polso, che rileva vari parametri del ciclo sonno-veglia e l’attività motoria durante la notte). Fatta la diagnosi, si passa al cuore del trattamento, che è breve (da tre a 10-12 sedute di tipo cognitivo-comportamentale) e integra varie tecniche per rafforzare il sonno (“controllo degli stimoli”, metodi di rilassamento, regole di “igiene del sonno”), nonché alcune strategie che correggono atteggiamenti e idee errate. «Per esempio ritenere che servano almeno 8 ore di sonno per star bene a qualsiasi età», avverte Devoto. «È una falsa credenza, che può indurre a trascorrere a letto più tempo del necessario, coricarsi prima la sera e cercare di fare sonnellini diurni di recupero. Accorgimenti che peggiorano ulteriormente la qualità del sonno, fino a rendere sempre più difficile risolvere il problema in autonomia».
Morale: dopo le prime notti insonni, meglio non temporeggiare e chiedere l’aiuto di uno specialista per correggere le cattive abitudini ed evitare che l’insonnia diventi una compagna di vita. E iniziare subito a seguire semplici regole di “igiene del sonno”: mantenere le abitudini e seguire i rituali che ci fanno sentire bene e più rilassati prima di coricarci. Meglio evitare di fissare luci artificiali dopo le 21-22 (soprattutto iPad e cellulare) perché interferiscono con la sintesi della melatonina (che dà il via all’addormentamento), come ribadito da un recente studio pubblicato su Organizational Behavior and Human Decision Processes. Attenzione anche a porsi nelle condizioni ambientali più favorevoli, regolando il termostato intorno ai 18 gradi: «Temperature più alte tendono a diminuire le fasi di sonno lento e profondo, mentre quelle molto più basse possono rendere difficoltoso addormentarsi», conclude Nobili.

COME AIUTARE UNA PERSONA DEPRESSA


Non è sempre facile sapere come aiutare una persona depressa, anzi, dire o fare la cosa giusta può dimostrarsi molto difficile. 
Tutti noi reagiamo alle situazioni e dialoghiamo in modo diverso. Gli approcci seguenti che si basano su questa considerazione, illustrano diversi modi per aiutare un amico o un membro familiare.

Iniziate a parlarne
Fare il primo passo per aiutare una persona che sembra 
in difficoltà rappresenta un atto delicato che va pensato 
attentamente. Scegliete un’ora e un luogo adatto per 
entrambi. 

Ascoltate più che parlare
Talvolta, quando una persona a noi cara ha bisogno di 
parlare, non è necessariamente alla ricerca di consigli, 
ma vuole semplicemente parlare di alcune cose che la 
preoccupano. Ascoltare invece di parlare rappresenta un 
modo di capire come si sente qualcuno. Questo approccio 
si chiama ascolto attivo. Risparmiate i suggerimenti, le 
soluzioni e i consigli per un’altra occasione e usate frasi 
neutre come “Capisco come ciò ti possa turbare”.

Usate un linguaggio del corpo adeguato
Il linguaggio del corpo ha un ruolo importante nell’aiutare 
una persona cara a sentirsi maggiormente a proprio agio. 
Cercate di mantenere il contatto visivo e di sedere in una 
posizione rilassata, in modo da dimostrarle che la state 
ascoltando.

Fate domande a risposta libera
Le domande a risposta libera rappresentano un buon 
modo per avviare una conversazione, in quanto sono 
sostanzialmente una richiesta di maggiori informazioni e 
non è possibile rispondervi con un semplice “Sì” o “No”. Un 
esempio è “Allora, dimmi di...?” o “Che cosa ti preoccupa?” 

Conversazione difficile
Talvolta, le persone con sintomi di depressione possono 
provare imbarazzo a parlare apertamente dei propri pensieri 
ed emozioni. Può anche accadere che si arrabbino se si 
chiede loro se va tutto bene.

I consigli seguenti possono mostrarsi utili per 
affrontare le conversazioni difficili:
• Rimanete calmi
• Mantenete un comportamento fermo, equo e coerente
• Se vi sbagliate ammettetelo
• Non perdete il controllo.

Passate del tempo con la persona depressa
Spesso, basta dedicare del tempo a parlare o stare con una 
persona per farle capire che tenete a lei e potete aiutarla a 
comprendere cosa sta passando.

Abbiate cura di voi
In qualità di familiare o amico di una persona alle prese con 
la depressione, è importante che vi prendiate cura di voi 
stessi. Dedicate del tempo a rilassarvi e godere delle cose 
che amate fare

L'ATTACCO AL LEGAME


L'attacco al legame è una modalità che viene messa in atto all'interno di una relazione da parte di uno dei due partner. 
Se uno dei due partner presenta forti tratti di ambivalenza affettiva (come i borderline o i bipolari) oscilla costantemente fra il 'ti amo' ed il 'ti odio', fra idealizzazione e svalutazione dell'altro e della relazione. Inoltre tale partner ha una profonda paura di legarsi perchè ha paura di soffrire se la relazione dovesse finire. 
Ed ecco che periodicamente attacca il legame per non legarsi troppo, per evitare di amare, per non soffrire, sortendo gli effetti opposti a quelli prefissi. Infatti più 'attacca' e più si lega, più soffre, più aumenta la sua paura della separazione. Tutto questo si riverbera sull'altro partner che subisce l'attacco in maniera speculare. Diventa necessario prendere atto di tale modalità relazionale al fine di poterla superare. 
Roberto Cavaliere Psicoterapeuta

DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA'


La diagnosi secondo il criterio DSM IV richiede che almeno cinque dei seguenti sintomi siano presenti in modo tale da formare un pattern pervasivo, cioè che rimane tendenzialmente costante in situazioni e relazioni diverse:

-Senso grandioso del sé ovvero senso esagerato della propria importanza

-È occupato/a da fantasie di successo illimitato, di potere, effetto sugli altri, bellezza, o di amore ideale

Crede di essere "speciale" e unico/a, e di poter essere capito/a solo da persone speciali; o è eccessivamente preoccupato da ricercare vicinanza/essere associato a persone di status (in qualche ambito) molto alto

Desidera o richiede un’ammirazione eccessiva rispetto al normale o al suo reale valore

Ha un forte sentimento di propri diritti e facoltà, è irrealisticamente convinto che altri individui/situazioni debbano soddisfare le sue aspettative

Approfitta degli altri per raggiungere i propri scopi, e non ne prova rimorso

È carente di empatia: non si accorge (non riconosce) o non dà importanza a sentimenti altrui, non desidera identificarsi con i loro desideri

Prova spesso invidia ed è generalmente convinto che altri provino invidia per lui/lei

Modalità affettiva di tipo predatorio (rapporti di forza sbilanciati, con scarso impegno personale, desidera ricevere più di quello che dà, che altri siano affettivamente coinvolti più di quanto lui/lei lo sia)

LA MENTALIZZAZIONE NELLA PSICOTERAPIA DEL DISTURBO BORDERLINE


La mentalizzazione è definita come quella capacità di concepire gli stati mentali altrui come spiegazioni del comportamento (Fonagy, Target, 2006). 
La mentalizzazione è una capacità adattiva che permette agli esseri umani di intessere legami sociali e affiliativi importanti (Brüne, Brüne-Cohrs, 2006; Fonagy, Target, 2006) ed ha un substrato neurologico ben preciso (Brüne e Brüne-Cohrs 2006).
Una difficoltà nella mentalizzazione è presente nel Disturbo Borderline di Personalità (Fonagy, Bateman, 2006), oltre che tutti gli altri disturbi di personalità.
Uno degli obiettivi della terapia con pazienti con difficoltà nella mentalizzazione è quello di comprendere gli stati emotivi del paziente nonché le reazioni interpersonali che li hanno generati. In questo modo sarà possibile tracciare i cicli interpersonali disfunzionali che si vengono a creare tra il paziente e gli altri con cui intesse relazioni sociali e che, prima o poi, si riproporranno in terapia tra paziente e terapeuta. Il terapeuta in grado di mentalizzare sarà capace di riconoscere che sta cadendo in un ciclo interpersonale disfunzionale attraverso la comprensione del proprio stato mentale e di quello del paziente e di validarne lo stato emotivo piuttosto che allarmarsi come potrebbe accadere ad esempio con un paziente con DBP che minaccia un acting-out.
Quanto detto suggerisce l’idea che la mentalizzazione sia un’abilità clinica che il terapeuta deve necessariamente possedere, senza la quale non può esserci una genuina comprensione del paziente.
Roberto Cavaliere Psicoterapeuta

COME CI SI PUÒ DIFENDERE DA UN DISTURBO DA ANSIA



• Rinviare importanti cambiamenti di vita.
• Risolvere i conflitti personali man mano che si presentano.
• Prendere parte ad attività piacevoli.
• Cercare aiuto da un medico o altro professionista sanitario.
• Praticare esercizi di respirazione e di relax muscolare.
• Informarsi meglio sui disturbi da ansia.
• Stabilire buone abitudini di sonno.
• Fare esercizio regolarmente.
• Ridurre l’alcool e altre droghe


DINAMICA SITUAZIONE, PENSIERO E CONSEGUENZE NELLA FOBIA SOCIALE




IL BISOGNO DI FARSI MALE DEL BORDERLINE